Marzo, in Giappone, è il mese del cambiamento e delle vite che prendono pieghe diverse, deformandosi e declinandosi in nuovi progetti.
C'è chi cambia casa e chi cambia città. Chi viene per restare e chi invece decide di andarsene.
Ci sono lauree e ci sono diplomi; promozioni e destituzioni.
C'è chi fa domanda per colloqui e chi consegna lettere di dimissioni.
Ci sono addii e ci sono promesse. Incontri casuali e altri programmati.
Salary men e office ladies si aggirano tra le linee dei treni con stretti al braccio mazzi di fiori, bottino di sōbetsukai (party di addio) e kangeikai (party di benvenuto), in preda a uno strano senso di irrequietezza, che nell'eccitazione del cambiamento cela già una mancanza.
Mancanza in giapponese è sabishii (寂しい), un misto di tristezza e malinconia, solitudine e sconforto.
Ultimamente, mi capita spesso di svegliarmi in preda a un sentimento indefinito, stretto come un nodo tra la gola e lo stomaco.
Picchi di nostalgia momentanea, me li ha accusati qualcuno, con quell'aggettivo piazzato lì nell'ironia di chi conferma, a malincuore, di non aver compreso. Ed è la delusione e il dispiacere.
Si tratta invero di uno stato d'animo costante, solo a volte latente e altre eccedente. E nell'eccesso di questo sentire, che Tokyo ha ben accentuato, primo è il mese di marzo.
Negli anni, le spiegazioni che mi sono data avevano a che fare con congiunzioni astrali negative e venti contrari, sbalzi ormonali e l'arrivo della primavera. Tutte spiegazioni che sì, fanno anche un po' ridere.
Ma l'altro giorno, nell'inspiegabilità di questo fenomeno emotivo, è arrivato un colore a far chiarezza.
"今日はブルーな気分だね!" /Kyō wa burū na kibun da ne/ (Oggi il tuo umore è proprio blu!)
Blu. Come il cielo in una sera d'estate e l'oceano al crepuscolo.
Come il sentimento di chi va incontro alla novità, ma non è pronto e la teme.
Come le donne a un passo dal "per sempre", che davanti all'eternità di una promessa, vedono i primi cedimenti di una convinzione che credevano forte; la sicurezza lasciare spazio ai dubbi; l'eccitazione deformarsi in malinconia.
E manca la fame, manca il sonno. Manca il sorriso che scoppia dentro al cuore.
Manca qualcosa, che comunque è indefinito e indefinibile, perché non è il nero della confusione, né il bianco della nitidezza. Non è un netto tra due metà.
È blu, come una sfumatura incompleta tra due estremi distinti e distinguibili, come a indicare l'indefinizione dei sentimenti poco chiari. Non è gioia e non è dolore. È il limbo.
Marzo, in Giappone, è un po' come dicembre. È il mese a cavallo tra ciò che è stato e ciò che sarà. E l'animo umano diventa improvvisamente blu, sprofonda nell'abisso dell'incertezza e dell'insicurezza, perché non sa cosa lo aspetta. Resta lì immobile, aspettando che l'indicatore si sposti da un lato o l'altro del gradiente, facendo chiarezza e rimettendo ogni cosa al suo posto.
Quando questo accade, ecco che si ritorna a galla. Perché l'animo umano, in fondo, lo sa. Lo sa che quell'eccesso di mancanza e malinconia tornerà un giorno ad essere latente, seppur costante e di certo mai totalmente assente. E sa anche che a contrastarlo si perde solo tempo.
Bisogna lasciare che le cose facciano il loro corso, che marzo passi e con esso il blu delle mancanze e della malinconia, perché i vuoti non si possono colmare da soli e sono destinati a rimanere lì, come il blu tra il nero e il bianco della vita.